Lo straordinario
successo editoriale del libro L’anima e il suo destino di Vito
Mancuso, pubblicato nel 2007 da Raffaello Cortina Editore, straordinario
soprattutto in quanto saggio in questi tempi di crisi della lettura,
può essere spiegato dal fatto che viene incontro a un’esigenza umana
antica quanto l’anima stessa, rimasta però congelata grazie alla sistematica
elusione da parte di tutte le scienze umane contemporanee, teologia
e psicoanalisi in primis.
Particolarmente incomprensibile, almeno in apparenza, risulta la posizione
nichilista di queste ultime, che pure dovrebbero averla a cuore quest’anima,
non solo al fine di curarne gli inevitabili mali che il suo “esilio
terreno” le procura – coi quali però può crescere prendendo coscienza
di sé –, ma anche per curarne il destino escatologico, che, avverte
subito Mancuso, ha senso solo se pensato e realizzato nel presente.
Infatti, come non può esserci vera cura d’anima separandola dal suo
telos (scopo), in cui in fondo consiste il suo divenire consapevole
del suo proprio divenire, così non può esserci vera cura d’anima separandola
dal suo eskatos (destino ultimo); non ne parliamo neppure, poi,
quando nel discorso e nella terapeutica ufficiali viene separata da
entrambi, che costituisce la sua totale annichilazione nel vuoto entropico
del mondo.
Devo subito dire che questa mancanza è molto più grave per la
psicoanalisi, che ha riscoperto l’anima nel bel mezzo della sua eclisse
a opera della scienza positiva col tacito concorso della chiesa, poiché
quest’ultima, nella fattispecie della chiesa cattolica, ha pur sempre
una dottrina teologica che la riguarda, che va sotto il nome di creazionismo,
anche se in essa si possono ravvisare tracce di nichilismo laddove l’anima
risulta creata da Dio non da se stesso, ma dal nulla, resa successivamente
immortale per partecipazione gratuita, grazie anche alla mediazione
della chiesa.
A partire da Freud, che l’ha sempre chiamata psiche e concepita
come derivata dal soma, anche se poi in grado in qualche modo di regolarlo,
e passando da Jung, che l’ha restituita alla sua potenzialità divina
concependola anche come archetipo, c’è un lungo silenzio sul
destino evolutivo dell’anima fino a Silvia Montefoschi, che la riscopre
come pura funzione del pensiero, perciò dello spirito.(1)
Entrambi, Montefoschi e Mancuso, presentano una teoria onnicomprensiva
di tutto il reale, e già in questo sta l’eresia per il pensiero contemporaneo
che non sopporta più gli universali, oltreché l’idea di principi unificanti,
ordinatori, teleologici e originariamente sapienti, definendoli dogmatici,
razionalizzazioni prive di qualsiasi fondamento scientifico, come invece
pretenderebbero di essere.
A maggior ragione poi, se il loro discorso integra scienza, filosofia
e teologia (per Mancuso) o psicoanalisi (per Montefoschi), ricondotte
alla ragione cosmica del Logos da cui in fondo sono scaturite: altra
follia per gli accademici di ciascuno di questi specialissimi saperi
separati, pur nel tempo della contaminazione globale dei linguaggi e
delle menti, che costituisce il loro opposto fusionale.
Ma i nostri autori non sono tali da lasciarsi intimidire dai paradigmi
del momento, neppure di quelli della propria scuola di appartenenza,(2)
per cui il loro pensiero scorre libero, e in modo rigorosamente logico
si snodano le tappe dell’evoluzione di quel Primo Fattore che traduce
la sintesi cosmica nel fattore più specificamente umano, la sua coscienza.
Sorprendentemente molto simile, nonostante le differenze di formazione,
background e percorso di ricerca,(3) è la narrazione dell’origine del
mondo e del suo sviluppo.
Per Vito Mancuso il cosmo è un trattato su Dio al pari delle Sacre Scritture.
Grazie ai contributi della scienza, l’uomo è in grado di rintracciare
il Principio Ordinatore, il Logos che regge la natura secondo una logica
di incremento della complessità e dell’informazione, l’ordine che dà
forma all’energia alla base dell’essere, secondo una linea evolutiva
che dal punto cosmico iniziale conduce alla vita e man mano alla comparsa
degli esseri intelligenti e allo sviluppo della spiritualità. Questa
sapienza basata sull’osservazione della natura ci conferma il messaggio
di Cristo, perché il principio fondamentale dell’essere come energia
non è altro che la relazione, che produce armonia e contrasta la deriva
entropica dell’universo. Il Logos, quindi, è relazione, ordine relazionale,
che attraverso i legami crea forme e sostanze nuove, in un incessante
riprodursi di energia su livelli qualitativi sempre superiori. Ma se
il Logos è relazione, allora è l’amore l’attuazione perfetta del Logos,
in quanto relazione perfetta tra gli esseri.(4)
L’equivalenza essere-energia, ci consegna una visione unitaria del cosmo
che impone di superare il dualismo tradizionale materia-spirito, che
domina ancora incontrastato nei campi separati del sapere. Secondo il
nostro teologo, l’anima risulta dunque dal totale dell’energia cui si
sottrae l’energia come massa (E – M = A), mentre i passaggi compiuti
dall’energia nel suo ascendere ai piani più elevati dell’organizzazione
della vita, possono essere individuati in cinque “discontinuità cosmiche”:
1. dall’esplosione del punto cosmico singolare alla vastità dell’essere;
2. dalla materia cosmica inerte alla vita; 3. dalla vita naturale all’intelligenza;
4. dall’intelligenza autoreferenziale alla spiritualità; 5. dalla spiritualità
all’etica divina dell’ordine relazionale in cui si sostanzia il Logos.
In quest’ultimo passaggio, cui si può accedere solo attraverso una ricerca
e un lavoro attivo su di sé (entropia negativa), risiede la divinizzazione
dell’anima, che è ragionevole pensare che possa aprire le porte all’immortalità.
La posizione dell’autore sul destino ultraterreno dell’anima di coloro
che hanno rifiutato coscientemente il bene, va dalla “dissoluzione finale”
all’“apocatastasi”, che costituisce una stasi penosa dell’anima, lontana
dalla visione beatifica per un tempo indefinito, prima del suo inevitabile
riassorbimento nell’essenza del bene in cui consiste il divino.
Per Silvia Montefoschi l’essere è l’essere del pensiero, l’essere come
logos, concepito come unità duale maschile-femminile eternamente dialogante;
l’essere come coniunctio primigenia, in cui la soggettività coincide
con l’intersoggettività che la sostanzia; logos, inoltre, che è anche
eros, in quanto tensione erotico-conoscitiva. Questo essere-pensiero,
infinitamente sapiente e inconscio nello stesso tempo, per conoscersi
pose sé fuori di sé, oggettivandosi, e attuando in questa sua straordinaria
estrinsecazione (la creazione del mondo) la potenzialità femminile che
portava in seno, immanente e incalzante, nelle forme concrete del reale
in cui consiste, si compone e si sviluppa il suo dialogo interiore.
L’essere-energia, per la nostra autrice, è l’aspetto dinamico dell’essere-pensiero,
ma è il pensiero, il soggetto conoscente universale, che salta sui piani
sempre più elevati di visione man mano che, grazie all’esperienza del
vivente, conosce la sua dialogica interna, a partire dalla singolarità
cosmica iniziale fino alla forma più sublime del pensiero rappresentata
dalla coniunctio. Qui tutto il processo cosmico-creativo troverebbe
il suo compimento, e l’essere cesserebbe di evolversi attraverso il
proprio oggettivarsi, frammentarsi e confinarsi nei circoli in-finiti
della materia in cui fino ad ora si era conosciuto.
Il meccanismo attraverso cui si produce la continuità come la discontinuità
evolutiva (che per Mancuso è il Principio Ordinatore) viene individuato
dalla Montefoschi nel Tabù dell’Incesto, che viene visto non solo come
la legge che regola la dinamica psichica interna di ciascun individuo,
e non solo come la legge che regola l’ordinamento sociale, ma come la
legge che governa il divenire dell’intero universo a partire dai costituenti
elementari della materia. Viene formulata in due accezioni, a seconda
che si presenti come inviolabile o come violabile, essendo il principio
che tutela un equilibrio e contemporaneamente il principio che ne richiede
l’infrazione per procedere verso un equilibrio superiore.
In quanto inviolabile, deve salvaguardare la separazione del soggetto
conoscente dall’oggetto conosciuto, formulandosi in tal modo come “la
legge che impone ai simili di separarsi per rendersi diversi, e impone
ai diversi di attirarsi senza mai raggiungere l’unione.” In quanto violabile,
implica invece la sua ripetuta violazione, e sotto questo aspetto può
essere formulata come “la legge che impone ai simili di separarsi per
consentire ai diversi, nati da una precedente separazione, di tornare
ad unirsi.”
La legge del tabù dell’incesto porta allora con sé una contraddizione,
che sta nel fatto che essa esige nel contempo la sua osservanza e la
sua infrazione. Ma proprio questa contraddizione, che si presenta non
consentibile dalla logica ordinaria della nostra ragione, rivela viceversa
che la legge stessa è la sostanza dialettica dell’essere, cioè la dialettica
della riflessione grazie alla quale l’essere si conosce, il principio
ontologico che dette nascita al nostro universo e che – secondo l’autrice
– prevede la sua fine.(5)
Il libro in cui Montefoschi descrive questa dinamica processuale fin
dal livello della microfisica è Il principio cosmico o del tabù dell’incesto.
Storia della preistoria del verbo, pubblicato da Bertani Editore
nel 1987, che può essere considerato il più grande trattato scientifico-spirituale
dei nostri tempi.(6)
Sintetizzando, e tenendo presente che “essere” e “coscienza di essere”
si danno per la Montefoschi insieme sin dall’inizio, le discontinuità
cosmico-evolutive che contrassegnano le infrazioni del tabù dell’incesto
sono cinque: 1. dal punto cosmico singolare al protone, che è la prima
struttura conoscitiva autocosciente stabile, che non sapendo però di
sé in quanto tale, resta un’identità opaca che viene a costituire il
primo mattone dell’oggettualità dell’universo; 2. da questo all’atomo,
che grazie all’elettrone è il primo sistema conoscitivo autoriflessivo,
in cui l’essere arriva a conoscersi nel suo proprio esserci, ma frammentato
nei tanti soggetti atomici che, non sapendo gli uni degli altri, restano
identificati nell’oggetto protonico della loro conoscenza; 3. da questo
alla molecola, indi alla cellula e al vivente, che rappresenta il primo
tentativo di sintesi delle conoscenze parcellari in un’unica identità
conoscitiva complessa, autocosciente e relazionale, la quale, mancando
però del riflettente, non può che svolgersi solo sul piano longitudinale
delle successive forme di vita sempre più ordinate e complesse; 4. da
questo al soggetto riflessivo individuale relazionale-complesso (uomo),
che è il vero depositario dell’immane compito nega-entropico che la
dinamica conoscitiva gli ha assegnato, quello cioè della riunificazione
delle tante immagini del soggetto primo in un’unica immagine, seppure
concepito secondo un’ottica egoriferita e antinomica, sia a livello
individuale che sociale (sistema uomo); 5. da questo al soggetto super-riflessivo,
che è il più alto livello di coscienza raggiungibile dal vivente, in
cui, superato il limite del sistema precedente, il compito dell’uomo
giunge infine a compimento nell’intersoggettività degli amanti che si
sono riconosciuti nei due termini del principio dialogico (coniunctio).(7)
Ma dalla quarta alla quinta discontinuità intercorrono diversi altri
divelli di coscienza che riguardano esclusivamente l’uomo dialettico,
spirituale o mistico, e che corrispondono anche a diversi luoghi della
Presenza.(8)
Ora, siccome il percorso che l’autrice indica nella sua opera è quello
da lei stesso compiuto in vita, i livelli di coscienza che in lei si
sono individuati a partire dal sistema uomo, qualificato come “coscienza
adamica”, sono i seguenti: la “coscienza cristica”, la “coscienza giovannea”
e la “coscienza Giovanni Silvia”,(9) che è quella che identifica la
coniunctio finale in cui il pensiero arriva infine a percepire se stesso
nella sua intima e mistica polarità dialogica, ossia nell’intersoggettività
divina che intercorre tra il maschile e il femminile di Dio, riconoscendosi
come l’unica realtà concretamente esistente, presenza al cospetto della
presenza.
Il fatto che in questa prospettiva sia l’autrice stessa ad aprire l’ultima
discontinuità, e a scrivere in tal modo l’ultimo brano della storia
universale, può sorprendere, ed è bene che sorprenda, ma non si può
equivocare sul senso dell’evento: la responsabilità di aprire la porta
dell’essere vero, imposto dall’amore, spetta a ciascuno in prima persona.
Riguardo all’escatologia dell’anima per chi non ha compiuto alcun lavoro,
non esiste da parte dell’autrice una trattazione specifica, ma ci sono
cenni da cui si può ricavare l’impressione che, per la stessa, una soluzione
non sia poi molto diversa dall’altra: l’anima che è rimasta aderente
al biologico, o seguirà la sorte del biologico, oppure permarrà in seno
all’essere in virtù della sua diversa organizzazione quintessenziale,
ma certo la consapevolezza della stessa, la sua coscienza di essere,
la bellezza e la gioia infinita, si trovano solo nell’abbraccio finale
con lo spirito. Anche questo, come per Mancuso, da realizzarsi nel qui
e adesso.
Ho voluto evidenziare solo le somiglianze tra i nostri due pensatori
“eretici”,(10) poiché sono tali da far ritenere le differenze, pur importanti,
di second’ordine. La loro opera è davvero straordinaria in un tempo
di carestia spirituale come pochi in precedenza, un faro, in questa
lunga notte dell’anima.
© Baldo Lami
* Articolo pubblicato in www.psicosservatorio.it
il 15.10.2008.
Note:
(1)
La situazione del nome dato al principale oggetto di studio è in realtà
molto complessa, non solo per la psicoanalisi, ma per tutte le scienze
umane in generale, perché su questo si gioca il loro proprio destino.
L’atteggiamento di Jung al riguardo è duplice: da una parte ha identificato
la psiche con l’anima, rendendo i due termini intercambiabili, dall’altra
ha cercato però di differenziarli attribuendo a ciascuno funzioni diverse,
cercando altresì di differenziare il concetto psicologico di anima dalle
idee tradizionali di anima della religione e della filosofia. Silvia
Montefoschi, invece, pur di formazione junghiana, abbandona ben presto
l’utilizzo di questo termine preferendogli quello più neutro di psiche,
che viene via via ridimensionata e ricondotta alla pura dimensione emotiva
dell’essere legata al biologico, anche se resta sempre una forma-pensiero,
come il corpo, pur se diversamente organizzata, ma oggettivata in una
forma finita, materiale o immateriale che sia, a meno che come pensiero
non si riconosca. L’intento dell’autrice è forse quello di emancipare
l’anima dalla prima grande forma di narrazione dell’essere, cui la si
vuole mantenere legata, che è la mitologia, con i suoi scenari politeistici
(di cui invece si approprierà James Hillman, che la riscopre come linguaggio
proprio dell’Immaginale, da cui l’anima non può alienarsi pena il suo
perdersi nell’età di psicopatia che caratterizza la nostra epoca), al
fine di riportare l’accento sulla supremazia dello spirito come mono-theos,
dalla cui oggettivazione sarebbe derivato il mondo con i suoi innumerevoli
oggetti e forme di vita, corpi e anime comprese. Anche Mancuso distingue
l’anima dalla psiche che fa coincidere, insieme al corpo, con l’“anima
sensitiva” di aristotelica memoria, non perché la psiche sia sostanzialmente
diversa però, ma perché rappresenta uno dei livelli dell’anima, il cui
termine viene pertanto mantenuto senza alcuna difficoltà fino alla sua
identificazione finale con lo spirito.
(2) Silvia Montefoschi si ritiene estranea a qualsiasi logica di appartenenza.
(3) Ci sono comunque tra i due autori alcuni personaggi di riferimento
in comune che colpiscono, tra cui: Martin Buber, Paul Davies, Eckhart,
Hegel, Ilya Prigogine e soprattutto Teilhard de Chardin.
(4) Giuseppe Artino Innaria, recensione del 19.12.2007 in www.girodivite.it/L-anima-e-il-suo-destino-di-Vito.html.
(5) Per un’esposizione più estesa e comprensiva della legge del tabù
dell’incesto, vedi Baldo Lami, Psicopatia e pensiero del cuore. Analisi
di un concetto chiave di comprensione del nostro tempo, Zephyro
Edizioni, Milano 2006, pp. 35-37.
(6) In questo testo l’autrice rilegge tutta la vicenda cosmica, dai
quark all’uomo, al fine di cogliere il principio unificatore, tutt’uno
con la sostanza dell’essere, nel pensiero, che nel pensare se stesso
dà nascita alla materia che popola lo spazio cosmico, per arrivare infine
a pensarsi al di là della necessità di oggettivarsi. Nei testi successivi,
invece, offre ulteriori illuminanti contributi soprattutto riguardo
i livelli superiori di coscienza.
(7) Il sequenziamento del processo che ho riassunto, dev’essere considerato
una semplificazione e una sintesi di quello realmente prodotto dalla
nostra autrice nei testi in cui ne parla (ora in corso di pubblicazione
integrati nel 3° volume dell’Opera Omnia presso la Zephyro Edizioni)
e a cui pertanto si rimanda.
(8) Per un’esposizione più estesa e comprensiva dei livelli della Presenza,
vedi Fabrizio Raggi, Al di là del bene e del male: la logica unitaria.
Dialogando con Silvia Montefoschi, Zephyro Edizioni, Milano 2008,
pp. 139-164.
(9) Giovanni Evangelista è stato riconosciuto da Silvia Montefoschi
come il proprio interlocutore celeste, con cui ha scritto tutta la sua
opera, come da lei stessa menzionato nel brano epigrafico posto all’inizio
di ciascun volume dell’Opera Omnia, che così recita: «Il vero autore
di tutta l’opera è Giovanni Silvia, l’amore che ama l’amore fattosi
infine consapevole di sé quale sola persona nelle due persone di Giovanni
di Zebedeo, che è stato su la terra all’inizio del primo millennio,
e Silvia Montefoschi, ancora presente su la terra alla fine del secondo
millennio.»
(10) Oggi non è più tempo di roghi o scomuniche, per cui il teologo
cattolico Vito Mancuso (che peraltro si propone come un riformatore
interno alla chiesa), che nel libro citato ha scardinato alcuni fondamentali
dogmi del cattolicesimo, indicandone errori e orrori, se l’è cavata
con un’aspra e pesante critica sull’Osservatorio Romano. Per
quanto riguarda Silvia Montefoschi, invece, la reazione della psicoanalisi
ufficiale alle sue tesi per una nuova ermeneutica, al di là delle separazioni,
dei paradigmi e dei recinti istituzionali, è consistita in un evento
in cui paradossalmente continua a incorrere, pur conoscendolo molto
bene, dato che proprio su di esso, sulla sua scoperta, si deve la sua
stessa esistenza: la rimozione. Anche se l’illustre personaggio che
l’ha scoperta, ha scoperto anche che il rimosso ha un destino bellissimo:
ritornare! Anch’esso, come l’uomo, non vuole morire, e questo è il suo
modo di riuscirci.