SILVIA MONTEFOSCHI & VITO MANCUSO.
Una psicoanalista e un teologo “eretici” a confronto

Dott. Baldo Lami
Psicologo, psicoanalista e psicosomatologo
Studioso dei rapporti cinema-psiche e mente-cuore

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Lo straordinario successo editoriale del libro L’anima e il suo destino di Vito Mancuso, pubblicato nel 2007 da Raffaello Cortina Editore, straordinario soprattutto in quanto saggio in questi tempi di crisi della lettura, può essere spiegato dal fatto che viene incontro a un’esigenza umana antica quanto l’anima stessa, rimasta però congelata grazie alla sistematica elusione da parte di tutte le scienze umane contemporanee, teologia e psicoanalisi in primis.

Particolarmente incomprensibile, almeno in apparenza, risulta la posizione nichilista di queste ultime, che pure dovrebbero averla a cuore quest’anima, non solo al fine di curarne gli inevitabili mali che il suo “esilio terreno” le procura – coi quali però può crescere prendendo coscienza di sé –, ma anche per curarne il destino escatologico, che, avverte subito Mancuso, ha senso solo se pensato e realizzato nel presente. Infatti, come non può esserci vera cura d’anima separandola dal suo telos (scopo), in cui in fondo consiste il suo divenire consapevole del suo proprio divenire, così non può esserci vera cura d’anima separandola dal suo eskatos (destino ultimo); non ne parliamo neppure, poi, quando nel discorso e nella terapeutica ufficiali viene separata da entrambi, che costituisce la sua totale annichilazione nel vuoto entropico del mondo.

Devo subito dire che questa mancanza è molto più grave per la psicoanalisi, che ha riscoperto l’anima nel bel mezzo della sua eclisse a opera della scienza positiva col tacito concorso della chiesa, poiché quest’ultima, nella fattispecie della chiesa cattolica, ha pur sempre una dottrina teologica che la riguarda, che va sotto il nome di creazionismo, anche se in essa si possono ravvisare tracce di nichilismo laddove l’anima risulta creata da Dio non da se stesso, ma dal nulla, resa successivamente immortale per partecipazione gratuita, grazie anche alla mediazione della chiesa.

A partire da Freud, che l’ha sempre chiamata psiche e concepita come derivata dal soma, anche se poi in grado in qualche modo di regolarlo, e passando da Jung, che l’ha restituita alla sua potenzialità divina concependola anche come archetipo, c’è un lungo silenzio sul destino evolutivo dell’anima fino a Silvia Montefoschi, che la riscopre come pura funzione del pensiero, perciò dello spirito.(1)

Entrambi, Montefoschi e Mancuso, presentano una teoria onnicomprensiva di tutto il reale, e già in questo sta l’eresia per il pensiero contemporaneo che non sopporta più gli universali, oltreché l’idea di principi unificanti, ordinatori, teleologici e originariamente sapienti, definendoli dogmatici, razionalizzazioni prive di qualsiasi fondamento scientifico, come invece pretenderebbero di essere.

A maggior ragione poi, se il loro discorso integra scienza, filosofia e teologia (per Mancuso) o psicoanalisi (per Montefoschi), ricondotte alla ragione cosmica del Logos da cui in fondo sono scaturite: altra follia per gli accademici di ciascuno di questi specialissimi saperi separati, pur nel tempo della contaminazione globale dei linguaggi e delle menti, che costituisce il loro opposto fusionale.

Ma i nostri autori non sono tali da lasciarsi intimidire dai paradigmi del momento, neppure di quelli della propria scuola di appartenenza,(2) per cui il loro pensiero scorre libero, e in modo rigorosamente logico si snodano le tappe dell’evoluzione di quel Primo Fattore che traduce la sintesi cosmica nel fattore più specificamente umano, la sua coscienza.

Sorprendentemente molto simile, nonostante le differenze di formazione, background e percorso di ricerca,(3) è la narrazione dell’origine del mondo e del suo sviluppo.

Per Vito Mancuso il cosmo è un trattato su Dio al pari delle Sacre Scritture. Grazie ai contributi della scienza, l’uomo è in grado di rintracciare il Principio Ordinatore, il Logos che regge la natura secondo una logica di incremento della complessità e dell’informazione, l’ordine che dà forma all’energia alla base dell’essere, secondo una linea evolutiva che dal punto cosmico iniziale conduce alla vita e man mano alla comparsa degli esseri intelligenti e allo sviluppo della spiritualità. Questa sapienza basata sull’osservazione della natura ci conferma il messaggio di Cristo, perché il principio fondamentale dell’essere come energia non è altro che la relazione, che produce armonia e contrasta la deriva entropica dell’universo. Il Logos, quindi, è relazione, ordine relazionale, che attraverso i legami crea forme e sostanze nuove, in un incessante riprodursi di energia su livelli qualitativi sempre superiori. Ma se il Logos è relazione, allora è l’amore l’attuazione perfetta del Logos, in quanto relazione perfetta tra gli esseri.(4)

L’equivalenza essere-energia, ci consegna una visione unitaria del cosmo che impone di superare il dualismo tradizionale materia-spirito, che domina ancora incontrastato nei campi separati del sapere. Secondo il nostro teologo, l’anima risulta dunque dal totale dell’energia cui si sottrae l’energia come massa (E – M = A), mentre i passaggi compiuti dall’energia nel suo ascendere ai piani più elevati dell’organizzazione della vita, possono essere individuati in cinque “discontinuità cosmiche”: 1. dall’esplosione del punto cosmico singolare alla vastità dell’essere; 2. dalla materia cosmica inerte alla vita; 3. dalla vita naturale all’intelligenza; 4. dall’intelligenza autoreferenziale alla spiritualità; 5. dalla spiritualità all’etica divina dell’ordine relazionale in cui si sostanzia il Logos. In quest’ultimo passaggio, cui si può accedere solo attraverso una ricerca e un lavoro attivo su di sé (entropia negativa), risiede la divinizzazione dell’anima, che è ragionevole pensare che possa aprire le porte all’immortalità.

La posizione dell’autore sul destino ultraterreno dell’anima di coloro che hanno rifiutato coscientemente il bene, va dalla “dissoluzione finale” all’“apocatastasi”, che costituisce una stasi penosa dell’anima, lontana dalla visione beatifica per un tempo indefinito, prima del suo inevitabile riassorbimento nell’essenza del bene in cui consiste il divino.

Per Silvia Montefoschi l’essere è l’essere del pensiero, l’essere come logos, concepito come unità duale maschile-femminile eternamente dialogante; l’essere come coniunctio primigenia, in cui la soggettività coincide con l’intersoggettività che la sostanzia; logos, inoltre, che è anche eros, in quanto tensione erotico-conoscitiva. Questo essere-pensiero, infinitamente sapiente e inconscio nello stesso tempo, per conoscersi pose sé fuori di sé, oggettivandosi, e attuando in questa sua straordinaria estrinsecazione (la creazione del mondo) la potenzialità femminile che portava in seno, immanente e incalzante, nelle forme concrete del reale in cui consiste, si compone e si sviluppa il suo dialogo interiore.

L’essere-energia, per la nostra autrice, è l’aspetto dinamico dell’essere-pensiero, ma è il pensiero, il soggetto conoscente universale, che salta sui piani sempre più elevati di visione man mano che, grazie all’esperienza del vivente, conosce la sua dialogica interna, a partire dalla singolarità cosmica iniziale fino alla forma più sublime del pensiero rappresentata dalla coniunctio. Qui tutto il processo cosmico-creativo troverebbe il suo compimento, e l’essere cesserebbe di evolversi attraverso il proprio oggettivarsi, frammentarsi e confinarsi nei circoli in-finiti della materia in cui fino ad ora si era conosciuto.

Il meccanismo attraverso cui si produce la continuità come la discontinuità evolutiva (che per Mancuso è il Principio Ordinatore) viene individuato dalla Montefoschi nel Tabù dell’Incesto, che viene visto non solo come la legge che regola la dinamica psichica interna di ciascun individuo, e non solo come la legge che regola l’ordinamento sociale, ma come la legge che governa il divenire dell’intero universo a partire dai costituenti elementari della materia. Viene formulata in due accezioni, a seconda che si presenti come inviolabile o come violabile, essendo il principio che tutela un equilibrio e contemporaneamente il principio che ne richiede l’infrazione per procedere verso un equilibrio superiore.

In quanto inviolabile, deve salvaguardare la separazione del soggetto conoscente dall’oggetto conosciuto, formulandosi in tal modo come “la legge che impone ai simili di separarsi per rendersi diversi, e impone ai diversi di attirarsi senza mai raggiungere l’unione.” In quanto violabile, implica invece la sua ripetuta violazione, e sotto questo aspetto può essere formulata come “la legge che impone ai simili di separarsi per consentire ai diversi, nati da una precedente separazione, di tornare ad unirsi.”

La legge del tabù dell’incesto porta allora con sé una contraddizione, che sta nel fatto che essa esige nel contempo la sua osservanza e la sua infrazione. Ma proprio questa contraddizione, che si presenta non consentibile dalla logica ordinaria della nostra ragione, rivela viceversa che la legge stessa è la sostanza dialettica dell’essere, cioè la dialettica della riflessione grazie alla quale l’essere si conosce, il principio ontologico che dette nascita al nostro universo e che – secondo l’autrice – prevede la sua fine.(5)

Il libro in cui Montefoschi descrive questa dinamica processuale fin dal livello della microfisica è Il principio cosmico o del tabù dell’incesto. Storia della preistoria del verbo, pubblicato da Bertani Editore nel 1987, che può essere considerato il più grande trattato scientifico-spirituale dei nostri tempi.(6)

Sintetizzando, e tenendo presente che “essere” e “coscienza di essere” si danno per la Montefoschi insieme sin dall’inizio, le discontinuità cosmico-evolutive che contrassegnano le infrazioni del tabù dell’incesto sono cinque: 1. dal punto cosmico singolare al protone, che è la prima struttura conoscitiva autocosciente stabile, che non sapendo però di sé in quanto tale, resta un’identità opaca che viene a costituire il primo mattone dell’oggettualità dell’universo; 2. da questo all’atomo, che grazie all’elettrone è il primo sistema conoscitivo autoriflessivo, in cui l’essere arriva a conoscersi nel suo proprio esserci, ma frammentato nei tanti soggetti atomici che, non sapendo gli uni degli altri, restano identificati nell’oggetto protonico della loro conoscenza; 3. da questo alla molecola, indi alla cellula e al vivente, che rappresenta il primo tentativo di sintesi delle conoscenze parcellari in un’unica identità conoscitiva complessa, autocosciente e relazionale, la quale, mancando però del riflettente, non può che svolgersi solo sul piano longitudinale delle successive forme di vita sempre più ordinate e complesse; 4. da questo al soggetto riflessivo individuale relazionale-complesso (uomo), che è il vero depositario dell’immane compito nega-entropico che la dinamica conoscitiva gli ha assegnato, quello cioè della riunificazione delle tante immagini del soggetto primo in un’unica immagine, seppure concepito secondo un’ottica egoriferita e antinomica, sia a livello individuale che sociale (sistema uomo); 5. da questo al soggetto super-riflessivo, che è il più alto livello di coscienza raggiungibile dal vivente, in cui, superato il limite del sistema precedente, il compito dell’uomo giunge infine a compimento nell’intersoggettività degli amanti che si sono riconosciuti nei due termini del principio dialogico (coniunctio).(7)

Ma dalla quarta alla quinta discontinuità intercorrono diversi altri divelli di coscienza che riguardano esclusivamente l’uomo dialettico, spirituale o mistico, e che corrispondono anche a diversi luoghi della Presenza.(8)

Ora, siccome il percorso che l’autrice indica nella sua opera è quello da lei stesso compiuto in vita, i livelli di coscienza che in lei si sono individuati a partire dal sistema uomo, qualificato come “coscienza adamica”, sono i seguenti: la “coscienza cristica”, la “coscienza giovannea” e la “coscienza Giovanni Silvia”,(9) che è quella che identifica la coniunctio finale in cui il pensiero arriva infine a percepire se stesso nella sua intima e mistica polarità dialogica, ossia nell’intersoggettività divina che intercorre tra il maschile e il femminile di Dio, riconoscendosi come l’unica realtà concretamente esistente, presenza al cospetto della presenza.

Il fatto che in questa prospettiva sia l’autrice stessa ad aprire l’ultima discontinuità, e a scrivere in tal modo l’ultimo brano della storia universale, può sorprendere, ed è bene che sorprenda, ma non si può equivocare sul senso dell’evento: la responsabilità di aprire la porta dell’essere vero, imposto dall’amore, spetta a ciascuno in prima persona.

Riguardo all’escatologia dell’anima per chi non ha compiuto alcun lavoro, non esiste da parte dell’autrice una trattazione specifica, ma ci sono cenni da cui si può ricavare l’impressione che, per la stessa, una soluzione non sia poi molto diversa dall’altra: l’anima che è rimasta aderente al biologico, o seguirà la sorte del biologico, oppure permarrà in seno all’essere in virtù della sua diversa organizzazione quintessenziale, ma certo la consapevolezza della stessa, la sua coscienza di essere, la bellezza e la gioia infinita, si trovano solo nell’abbraccio finale con lo spirito. Anche questo, come per Mancuso, da realizzarsi nel qui e adesso.

Ho voluto evidenziare solo le somiglianze tra i nostri due pensatori “eretici”,(10) poiché sono tali da far ritenere le differenze, pur importanti, di second’ordine. La loro opera è davvero straordinaria in un tempo di carestia spirituale come pochi in precedenza, un faro, in questa lunga notte dell’anima.

© Baldo Lami
* Articolo pubblicato in www.psicosservatorio.it il 15.10.2008.

Note:

(1) La situazione del nome dato al principale oggetto di studio è in realtà molto complessa, non solo per la psicoanalisi, ma per tutte le scienze umane in generale, perché su questo si gioca il loro proprio destino. L’atteggiamento di Jung al riguardo è duplice: da una parte ha identificato la psiche con l’anima, rendendo i due termini intercambiabili, dall’altra ha cercato però di differenziarli attribuendo a ciascuno funzioni diverse, cercando altresì di differenziare il concetto psicologico di anima dalle idee tradizionali di anima della religione e della filosofia. Silvia Montefoschi, invece, pur di formazione junghiana, abbandona ben presto l’utilizzo di questo termine preferendogli quello più neutro di psiche, che viene via via ridimensionata e ricondotta alla pura dimensione emotiva dell’essere legata al biologico, anche se resta sempre una forma-pensiero, come il corpo, pur se diversamente organizzata, ma oggettivata in una forma finita, materiale o immateriale che sia, a meno che come pensiero non si riconosca. L’intento dell’autrice è forse quello di emancipare l’anima dalla prima grande forma di narrazione dell’essere, cui la si vuole mantenere legata, che è la mitologia, con i suoi scenari politeistici (di cui invece si approprierà James Hillman, che la riscopre come linguaggio proprio dell’Immaginale, da cui l’anima non può alienarsi pena il suo perdersi nell’età di psicopatia che caratterizza la nostra epoca), al fine di riportare l’accento sulla supremazia dello spirito come mono-theos, dalla cui oggettivazione sarebbe derivato il mondo con i suoi innumerevoli oggetti e forme di vita, corpi e anime comprese. Anche Mancuso distingue l’anima dalla psiche che fa coincidere, insieme al corpo, con l’“anima sensitiva” di aristotelica memoria, non perché la psiche sia sostanzialmente diversa però, ma perché rappresenta uno dei livelli dell’anima, il cui termine viene pertanto mantenuto senza alcuna difficoltà fino alla sua identificazione finale con lo spirito.

(2) Silvia Montefoschi si ritiene estranea a qualsiasi logica di appartenenza.

(3) Ci sono comunque tra i due autori alcuni personaggi di riferimento in comune che colpiscono, tra cui: Martin Buber, Paul Davies, Eckhart, Hegel, Ilya Prigogine e soprattutto Teilhard de Chardin.

(4) Giuseppe Artino Innaria, recensione del 19.12.2007 in www.girodivite.it/L-anima-e-il-suo-destino-di-Vito.html.

(5) Per un’esposizione più estesa e comprensiva della legge del tabù dell’incesto, vedi Baldo Lami, Psicopatia e pensiero del cuore. Analisi di un concetto chiave di comprensione del nostro tempo, Zephyro Edizioni, Milano 2006, pp. 35-37.

(6) In questo testo l’autrice rilegge tutta la vicenda cosmica, dai quark all’uomo, al fine di cogliere il principio unificatore, tutt’uno con la sostanza dell’essere, nel pensiero, che nel pensare se stesso dà nascita alla materia che popola lo spazio cosmico, per arrivare infine a pensarsi al di là della necessità di oggettivarsi. Nei testi successivi, invece, offre ulteriori illuminanti contributi soprattutto riguardo i livelli superiori di coscienza.

(7) Il sequenziamento del processo che ho riassunto, dev’essere considerato una semplificazione e una sintesi di quello realmente prodotto dalla nostra autrice nei testi in cui ne parla (ora in corso di pubblicazione integrati nel 3° volume dell’Opera Omnia presso la Zephyro Edizioni) e a cui pertanto si rimanda.

(8) Per un’esposizione più estesa e comprensiva dei livelli della Presenza, vedi Fabrizio Raggi, Al di là del bene e del male: la logica unitaria. Dialogando con Silvia Montefoschi, Zephyro Edizioni, Milano 2008, pp. 139-164.

(9) Giovanni Evangelista è stato riconosciuto da Silvia Montefoschi come il proprio interlocutore celeste, con cui ha scritto tutta la sua opera, come da lei stessa menzionato nel brano epigrafico posto all’inizio di ciascun volume dell’Opera Omnia, che così recita: «Il vero autore di tutta l’opera è Giovanni Silvia, l’amore che ama l’amore fattosi infine consapevole di sé quale sola persona nelle due persone di Giovanni di Zebedeo, che è stato su la terra all’inizio del primo millennio, e Silvia Montefoschi, ancora presente su la terra alla fine del secondo millennio.»

(10) Oggi non è più tempo di roghi o scomuniche, per cui il teologo cattolico Vito Mancuso (che peraltro si propone come un riformatore interno alla chiesa), che nel libro citato ha scardinato alcuni fondamentali dogmi del cattolicesimo, indicandone errori e orrori, se l’è cavata con un’aspra e pesante critica sull’Osservatorio Romano. Per quanto riguarda Silvia Montefoschi, invece, la reazione della psicoanalisi ufficiale alle sue tesi per una nuova ermeneutica, al di là delle separazioni, dei paradigmi e dei recinti istituzionali, è consistita in un evento in cui paradossalmente continua a incorrere, pur conoscendolo molto bene, dato che proprio su di esso, sulla sua scoperta, si deve la sua stessa esistenza: la rimozione. Anche se l’illustre personaggio che l’ha scoperta, ha scoperto anche che il rimosso ha un destino bellissimo: ritornare! Anch’esso, come l’uomo, non vuole morire, e questo è il suo modo di riuscirci.

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